Le divoratrici di Lara Williams

Mi piace mangiare. A dispetto delle occhiatacce torve o dei sorrisetti ironici che noto sui volti di chi mi sta di fronte, quando lo dichiaro, mi piace mangiare. Peso 69 kg e mi piace mangiare. E mangio, tanto. Se mio padre non mi avesse donato un metabolismo abbastanza rapido, peserei il triplo. E forse, sarei meno nervosa ed irritabile. Meno ansiosa, dubbiosa, sempre in moto anche da ferma. La verità è che non sono mai riuscita a darmi una regola nelle cose ma in questo, per ora, mi preserva la genetica.

Amo i dolci, i piatti speziati, la pizza, i formaggi, le patatine fritte, il cioccolato e la pasta. Amo i cibi socialmente prepotenti come la cipolla, i peperoni, i funghi. Amo il caffè, la crema di cacao e nocciole, i condimenti sostanziosi, le olive, il pane. Mangio lo yogurt (da quando ho scoperto l’esistenza del greco, le altre tipologie non esistono più praticamente!) anche scaduto da settimane, sfidando la sorte, e mi va sempre bene. Più o meno. E il suono del vino versato in un calice mi calma i nervi.

Tutto questo preambolo per planare sulla mia ultima lettura terminata qualche giorno fa: come avrei potuto non amare le Divoratrici di Lara Williams? Ovviamente, si va oltre la semplice questione del cibo. È una storia di fame violenta, di amicizie selvagge, di amori brutali e disfunzionali.

Roberta, la protagonista, è una ragazza che ama la vita anche se non sembra. È sopravvissuta a svariate situazioni ma non sa ancora come volersi bene. Almeno fino a quando non darà vita, insieme alla sua amica Stevie, al Supper Club. Un gruppo di sole donne che si danno appuntamento per cene a tema in cui mangiano fino a star male. Cucinano di tutto, da gustose pietanze etniche al cibo da scartare che trovano nei cassonetti vicino ai supermercati, rivisitati per l’occasione. Durante le cene cantano, ballano, bevono e, soprattutto, mangiano. Anzi, meglio, divorano e lo fanno perché, in un mondo studiato per inibire ed indirizzare la donna verso un certo modo di essere universalmente riconosciuto, loro vogliono riappropriarsi dello spazio a cui hanno diritto.

Un circolo segreto dove la frustrazione e l’umiliazione non vengono sfogate attraverso il principio della prevaricazione ma con una rivendicazione del proprio corpo, del proprio essere. Una rivendicazione a tratti aggressiva che si concretizza nell’appropriarsi di luoghi privati come teatro in cui rappresentarsi ma anche una rimpossessarsi del corpo politico, della propria individualità modellandolo ed avvelenandolo a piacimento nella consapevolezza di poterlo fare.

« Cioè in un certo senso è un club culinario» risposi. «Ma il punto non è soltanto il cibo. È il modo in cui affermiamo noi stesse in uno spazio. In diversi spazi. Il punto è rivendicare di più.» (…)
«Mangiamo. Mangiamo quanto vogliamo. Diventiamo più grandi. Occupiamo spazio con i nostri corpi, in un certo senso. »

Il corpo rappresenta la dimensione del sé, una dimensione che ci ricorda la stanza di cui parla Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé lì dove si avverte, forte, l’esigenza della donna di trovare il proprio spazio nella letteratura come affermazione sociale separata da ogni funzione di matrice patriarcale imposta alla nascita. Le divoratrici di Lara Williams non hanno alcun tipo di aspettativa o progetto da realizzare perché troppo vincolate ai ruoli da assolvere assegnati da chi le circonda (datori di lavoro, colleghi, partner, genitori) ma è nell’assuefazione sociale che si riconoscono e scelgono di unire le proprie energie come forma di ribellione alla società.

Un autentico, indescrivibile, iridescente, meraviglioso disastro. Fanculo a chi dice di mangiare poco, parlare poco, fare meno rumore. Fanculo a tutti coloro che ci vogliono docili, remissive, accondiscendenti. Dosi abbondanti, toni elevati, nessun senso della decenza rispettato. Perché è così che, pian piano, si diventa invisibili: per ascoltare quello che dicono gli altri. Arrivare ad essere quasi nulla. Corpi giudicati, pesati, sminuiti, abusati, violati, umiliati rivendicano tutti i diritti in uno solo. Ripristinano equilibri alterati, la gioia di cui sono stati privati, la piena dimensione che è stata loro sottratta.

« Niente fa più paura di una donna che mangia e scopa con abbandono»

La scrittura di Lara Williams è galvanizzante: concilia l’orrido alla sensualità con naturalezza. Come ingredienti necessari alla preparazione di un piatto succulento, si amalgamano in una storia che vede una generazione di donne stanche e confuse alla ricerca famelica del proprio posto nel mondo e non si fermeranno fino a quando non lo avranno trovato.

4 pensieri su “Le divoratrici di Lara Williams

  1. Mi hai ricordato un film, uno di quelli “proibiti”, ovvero “la grande abbuffata”. Un altro film che lega cibo e appetito è “La carne”, un film piuttosto visionario. Io amo il cibo. Mangiarlo ma soprattutto cucinarlo. Trovare incroci tra salato, piccante, acido, croccante, soffice, liquido, cremoso. Si, è un’esperienza.

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      • Non c’è vergogna nella fame, secondo me. Fame può diventare atarassia, solo che non fa per me anche se giuro, ci ho provato. Io sono perennemente affamato e assetato, di cose diverse. Quello che c’è è quello che è rimasto, come gli avanzi lasciati in frigo.

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      • L’importante è averci provato. Personalmente, sto affrontando un periodo in cui cerco per la prima volta di saziarmi. Proprio perché non l’ho mai fatto. È un modo come un altro per sperimentare. Vediamo come va. Alla prossima

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